di Alberto Mucci
Lo scorso gennaio un docente di linguistica della Columbia University ha parlato della presunta fine della virgola. Dalla sua dichiarazione è nato un dibattito. In Italia ne hanno parlato minima&moralia (qui) e Studio (qui).
Sono sempre più numerosi gli elementi che ci spingono verso la velocità e l’immediatezza, verso la sintesi e la brevità di espressione, verso il subito e l’adesso, non soltanto nella vita sociale (dalla pubblicità, ai programmi televisivi, ai rapporti personali) ma anche nel quotidiano, soprattutto a causa di Internet, Twitter e i sui suoi 140 caratteri ora quotati in borsa e Facebook, abbandonato, è vero, dai teenager, ma sempre più popolare tra gli adulti, la cui timidezza nei confronti del social network sembra essere stata definitivamente vinta per lasciare spazio a una certa disinvoltura con cui, giorno dopo giorno, commento dopo commento, scrivono della propria vita in maniera sempre più telegrafica e allo stesso tempo curandosi sempre meno della punteggiatura dato l’intento di catturare l’attenzione di tutti gli amici iper-distratti dalla velocità del flusso di informazioni e persuaderli a soffermarsi, almeno per qualche istante, sul contenuto di una dichiarazione che rischierebbe altrimenti di essere inghiottita nel torrente di post, foto, frasi e video delle timeline degli amici i quali, d’altro canto (in compagnia dei colleghi di Twitter), possono invocare in loro difesa il più tradizionale degli argomenti a favore del progresso tecnologico secondo il quale l’adesione alle nuove regole stilistiche dei social network e’ una dimostrazione della propria capacità di adattamento ai cambiamenti in atto, una posizione che dallo scorso gennaio fa leva sulle idee del linguista e docente della Columbia University, John McWhorter, il quale ha dichiarato senza mezzi termini che sarebbe possibile “togliere la virgola da gran parte dei moderni testi americani causando una perdita di lucidità del testo del tutto trascurabile […]”, una posizione che ha subito innescato un dibattito sul futuro della virgola e al quale, Matthew J.X. Malady, su Slate, ha contribuito citando un numero di giovani scrittrici americane, quali Edith Zimmerman e Mary HK Choi, e i loro articoli scritti con l’intento esplicito di minare le regole della punteggiatura avvalendosi, la prima su Brooklyn Magazine, di frasi dalla punteggiatura libera come “Just got!!!!!!!!!!! No but it seriously has changed my life!!! hahahah I don’t even know if I’m joking or not!!! I mean I am but also it really has changed my life” (e’ vero, nella citazione c’e’ un punto esclamativo, in termini di pause, l’equivalente sintattico del punto, ma avevo bisogno di citare), e la seconda, sulla rivista The Awl, di proposizioni reminiscenti dei post di Facebook come “it’s gross but I don’t care because I need it and I love it (ha ha so gross)”, entrambe, e’ innegabile, valide sperimentazioni volte ad esaminare domande sui cambiamenti linguistici in atto, ma che rimangono tuttavia una mera provocazioni data la mancanza a fondo articolo di una didascalia in cui si spiega come in realtà le frasi brevi, dirette e senza la virgola, quelle capaci di raccontare in modo semplice realtà complesse, sia possibile scriverle con successo, per dirla con Carmelo Bene, solo dopo aver “imparato per poi disimparare”, ossia soltanto dopo aver capito come scrivere frasi lunghe, contorte e piene di virgole e mai prima, un insegnamento da tenere a mente pena incorrere nell’elogio della brevità fine a se stessa, una conclusione, come sottolineato da Andreas Rosenfelder in un articolo sul quotidiano tedesco Die Welt, che non considera come brevità e semplificazione siano spesso soltanto una forma di pigrizia dato che, diversamente da quanto si possa pensare, la lingua non è un bene scarso da amministrare con parsimonia, ma e’ al contrario, come testimonia qualunque scaffale stipato di libri e il fatto che dopo centomila anni di storia umana gli argomenti di conversazione non siano ancora esauriti, una materia prima inesauribile e dunque chi scrive, sia on-line sia off-line, senza dover necessariamente realizzare il “Caino” di Saramago o “L’Autunno del Patriarca” di Gabriel García Márquez, libri entrambi scritti senza un punto (o quasi), almeno alla virgola non dovrebbe rinunciarci.