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L’altro mondo di Carmelo Bene

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Questo articolo è uscito in forma ridotta sul «Futurista».

Carmelo Bene è scomparso il 16 marzo del 2002, ma per chi lo ha riconosciuto come maestro riappare spesso, così come apparve alla Madonna. Maestro non di vita, sia chiaro, ma di esistenze, esistenze condannate a vivere e combattere il non-sense della realtà. Dunque un maestro unico, irripetibile perché impossibile da ripetere.

Prima di quella data Carmelo Bene era morto ben altre volte. Per esattezza, ogni volta che diveniva autore, creatore di un’opera, dato che “…ogni autore dovrebbe essere considerato morto dal momento che è stato autore”. Morire e rinascere, questa la sua partita, superando però le categorie spazio-temporali rinchiuse tra passato e futuro. Giocare con l’eternità fin dove possibile. Conoscere quei confini, e a volte superarli.

Quello che ci aspetta si comincia a capire subito, nessun preambolo a partire dagli esordi, dalle cantine romane che nei primi anni Sessanta videro aggirarsi un attore di teatro che distruggeva i canoni del teatro stesso soltanto attraverso la sua presenza scenica, che sarebbe poi divenuta archetipo di quella macchina attoriale ancora una volta in anticipo sui (nostri) tempi. Fece scalpore un celebre Cristo ’63: il pubblico inorridito, la polizia costretta a intervenire. Ogni sera Ennio Flaiano e Alberto Arbasino ne uscivano stremati e a fatica, ma entusiasti. Prima ancora il Caligola, debutto folgorante, con tanto di richiesta per i diritti d’autore ad Albert Camus, di passaggio alla Fenice di Venezia. Carmelo, poco più di un ventenne, odorava già di classico. Quel profumo Camus lo riconobbe subito, barattando i suoi diritti per un posto in platea, il giorno della prima. Alla fine non andò, ma solo per improvviso malanno.

L’arte, in qualsiasi forma frequentata (teatro e cinema, scrittura e pittura, soprattutto quella dell’amatissimo Francis Bacon) viene manipolata da Carmelo Bene in quanto strumento d’espressione inespressa, o meglio inesprimibile senza contraddizione, e procedendo per sottrazione (Un Amleto di meno). Un continuo incedere per sottrazione, senza per questo togliere nulla all’arte, anzi. Le sue varie forme vengono abbandonate e recuperate in base a un percorso non calcolato e non calcolabile: se gli anni Sessanta vedono il palco come luogo eletto, il decennio successivo è quello dietro e davanti la macchina da presa, con sequenze indimenticabili, inaugurate poco prima con Nostra Signora dei Turchi, affresco estremo non soltanto del lamento di un certo Sud nazionale, ma di un cinema “morto già prima di nascere”, dato che James Joyce, la penna dell’“Ulysses”, aveva già detto tutto ciò che la pellicola filmica avrebbe potuto visionare, senza bisogno di immagini. E lo smontamento (e smottamento) delle stesse immagini, la costruzione tramite decostruzione, ancora una volta eleggevano la sottrazione dell’opera riprodotta come metodo artistico non riproducibile.

Lo spiazzamento provocato dalla presenza di Carmelo Bene poteva essere misurato in ogni dove. Restano per tutte alcune apparizioni, per l’appunto, la più famosa delle quali quella del 31 luglio 1981, a Bologna, che per intuizione notturna quanto involontaria dell’inviato e compagno di bottiglia Ruggero Orlando, C.B. volle poi titolare Sono apparso alla Madonna. E fu così davvero, leggere testo omonimo per sincerarsene.

Quella sera l’attor” venne invitato dal sindaco della città ad aprire le commemorazioni per il primo anniversario dalla strage della stazione. Scelse una sublime “Lectura Dantis”, che declamò issandosi sin sulla Torre degli Asinelli. Oltre centomila persone rimasero silenziose e a bocca aperta, come tutte quelle che invano tentarono di impedire “lo scandalo”. L’impatto fu catartico. In camicia e jeans, Carmelo Bene si arrampica sino al cielo, e appare. Il boato è enorme. Lui apre così: “Dedico questa serata, da ferito a morte, non ai morti ma ai feriti di questa orrenda strage”. Poi il Sommo in versi.

Forse peccando di memoria (e me ne compiaccio), di nostra recente storia non ricordo atto politico più simbolico e concreto.


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